Grazie al blog di Mario Fortunato abbiamo delel notizie su A single Man (e anche una foto di Colin)
http://fortunato.blogautore.espresso.repub...di-colin-firth/E guardandola bene adesso faccio l'associazione!E' lo stesso ristorante delle foto dell'altro giorno!Ecco con chi erano i due coniugi Firth!
http://fortunato.blogautore.espresso.repub...09/02/colin.JPG« Un altro blog?!
L’uomo solo di Colin Firth
Incontro Colin Firth, protagonista dei recenti “Mamma mia” e “Un matrimonio all’inglese”, all’Italian Bookshop di Londra. Ci sono anche tanti altre vecchie conoscenze, perlopiù scrittori. Si parla di libri e di politica, mentre si beve un bicchiere di vino. Poi Colin con sua moglie Livia, il sottoscritto e altri due amici usciamo dalla libreria nel cuore di Soho, facciamo due passi ed eccoci all’Ivy, ristorante tradizionalmente frequentato dalla gente dello spettacolo, dove ormai bisogna prenotare un tavolo con sei mesi d’anticipo (e, a giudicare dalla qualità del cibo, davvero non ne vale la pena).
Il ristorante è affollato e rumoroso. Colin è seduto accanto a me, così riusciamo a chiacchierare un poco. Col telefono, gli scatto una foto. Colin è appena rientrato da Los Angeles, dove ha finito di girare un film tratto da un romanzo che considero uno dei più belli della seconda metà del Novecento: “Un uomo solo” di Christopher Isherwood (in Italia lo pubblica Guanda).
“Un uomo solo” è un racconto di un centinaio di pagine. L’autore, che viveva da anni in California, dove si era trasferito dall’Inghilterra, lo pubblica nel 1964. Isherwood è già un autore molto noto: nel ‘35 è uscito il suo “Mister Norris se ne va” e quattro anni dopo il celeberrimo “Addio a Berlino” (da cui tanto tempo dopo Bob Fosse trarrà il film “Cabaret”, con Liza Minnelli). “Un uomo solo” è un testo che ha ambizioni minori, rispetto ai precedenti. Racconta il dolore che un professore inglese trapiantato a Los Angeles - George - prova dopo la morte del suo compagno di vita. E’ scritto in uno stile spoglio, disadorno, apparentemente facile. Ma è proprio questa asciuttezza, attraversata da un’ironia segreta e inesorabile, a fare del libro un piccolo gioiello di equilibrio narrativo: uno di quei testi che sono toccati dalla grazia, dalla prima all’ultima parola.
Dopo le sue ultime fatiche cinematografiche - tutte produzioni di un certo rilievo internazionale - Colin è felice di aver lavorato in questa pellicola low budget. Dice: “Regista e produttore sono la stessa persona, Tom Ford, lo stilista. Il quale ha investito nel film, oltre ai propri soldi, anche una grande energia personale e tutto il suo gusto quasi maniacale per la cura dei dettagli di scena”.
Rispetto al romanzo, il film ha un finale diverso che in un certo senso ne modifica la lettura. “E’ un finale che lo stesso Isherwood aveva pensato”, racconta Colin. Continua: “Don Bachardy, che è stato il compagno dello scrittore fino alla sua morte, nel 1985, ce ne ha molto parlato: Isherwood avrebbe scartato l’idea che alla fine il protagonista si uccide perché avrebbe restituito al racconto una certa rigidità di plot, e invece lui voleva sentirsi libero da ogni schema narrativo. Tom ha in qualche modo seguito la strada inversa. Non posso dire se la cosa funziona meglio: certo è che l’idea del suicidio finale ha dominato in ogni momento il mio modo di interpretare il personaggio, dando a ogni suo gesto una specie di esemplare e definitiva necessità”.
Il film non uscirà in Italia prima del prossimo Festival di Venezia. Ed è di sicuro un’opera che, a maggior ragione nel nostro Paese, non mancherà di far discutere. Perché tocca - come sempre fanno le opere d’arte, e cioè senza volerlo - un nervo molto scoperto della nostra società: il vuoto di diritti a cui i partner di una coppia di fatto vanno incontro, quando uno dei due si ammala gravemente o muore.
Chiedo a Colin se avere interpretato molte volte, nel corso della sua carriera cominciata anni fa nientemeno che sotto la direzione di Harold Pinter (il grande drammaturgo premio Nobel nel 2005), il ruolo dell’omosessuale abbia creato in lui, che nella vita omosessuale non è, una differente maniera di guardare alla realtà. Sorride. Dice: “Di recente, uno dei miei figli, che è ancora un bambino, mi ha chiesto se sono gay: un suo compagno di scuola gli aveva detto che lo sono, probabilmente dopo aver visto il film ‘Mamma mia’. Ho spiegato a mio figlio che no, non sono gay, ma che la parola non è comunque da intendere come un insulto. Essere gay è una cosa che si dà in natura, come avere i capelli biondi: non è né un privilegio né un handicap”.
Gli faccio comunque notare che ancora molti suoi colleghi, notoriamente omosessuali, preferiscono nascondersi professionalmente nel velo di una discrezione che facilmente sconfina nell’ipocrisia. “E’ vero”, commenta lui, “che una delle migliori interpretazioni cinematografiche recenti del ruolo di un gay ci è stata data da un non gay come lo Sean Penn di ’Milk’, tuttavia non saprei spiegare perché ancora tanti attori siano preoccupati all’idea che circolino voci su di loro. Davvero non so spiegarlo. Ormai viviamo in società piuttosto libere, dal punto di vista dei comportamenti individuali”.
Torniamo a parlare di Isherwood. Gli racconto che, proprio a causa di una sua certa rigidità militante, lo scrittore rifiutò, durante la Seconda guerra mondiale, di sposare Erika Mann, figlia del grande Thomas - matrimonio che le avrebbe consentito l’espatrio dalla Germania nazista. Isherwood declinò ma suggerì all’amico Auden di farlo. E così il grande poeta, anche lui omosessuale ma meno severo, alla domanda di matrimonio che gli era stata recapitata, rispose con un telegramma di una sola parola: “Delighted”.
La conversazione tocca altri maestri letterari: oltre alla triade Auden-Isherwood-Spender, chiacchieriamo di autori come Sillitoe, Moravia e di nuovo Pinter, di cui Colin conserva molti ricordi personali. E alcuni proprio ambientati nel ristorante in cui siamo. Quando ne usciamo, qualche ora dopo, dobbiamo fare molto in fretta: sulla porta ci sono decine di fotografi che prendono d’assalto Colin e sua moglia Livia. Io e gli altri due amici ci allontaniamo alla chetichella, ridendo fra noi di una aneddoto che Colin ci ha appena raccontato: qualche mese fa, suo fratello John, a propria volta un attore di successo, usciva da quello stesso ristorante, nell’indifferenza dei fotografi. John ne era stato un po’ deluso ma la costernazione era arrivata al suo apice quando, allontanatosi di qualche passo, John si era sentito chiamare da un paio di paparazzi. Il fratello di Colin si era girato, pensando lo chiamassero per scattare qualche foto. Invece no: i paparazzi volevano solo chiedergli se dentro al ristorante c’era qualcuno famoso.
Scritto Lunedì, 9 Febbraio, 2009 alle 16:34